Un’ecatombe. Non sono arrivati i sette gol subiti come in quel lontano aprile 2007, ma la vecchia leggenda in terra inglese tormenta ancora i cuori giallorossi. Ci hanno creduto tutti, anzi, hanno parlato fin troppo nelle piazze della Capitale, eppure la Roma è cascata di nuovo in quel Teatro degli Incubi che ha sempre detestato, sotto i colpi battenti di un Manchester United stordito all’inizio ma devastante alla fine, pronto a passeggiare sui resti di un gruppo, quello di Fonseca, martoriato nella propria dignità e (forse) nel prossimo futuro. E il verdetto è pesante: secco e sonoro 6-2 incassato nella sfida più importante dell’anno, una sconfitta che brucia nelle vene per come è arrivata e persino per la sorte avversa, che ha portato la Roma per la prima volta nella storia da quando esiste l’Europa League a dover consumare dopo 37′ in tre slot diversi altrettanti cambi per infortunio. All’inizio è caduto in disgrazia Veretout (sostituito da Villar), poi è stata la volta di Pau Lopez (al suo posto Mirante) dopo un ottimo intervento su un tiro dalla distanza di Pogba, e infine persino Spinazzola ha dovuto cedere alla maledizione (facendo spazio a Bruno Peres). Dettagli che fanno la differenza, con un tracollo annunciato che mancava solo di essere timbrato da Solskjaer e dai suoi. Fonseca sprofonda, altro che impresa, sembra quasi che in questo gioco vinca solo chi si arrende.
I SOGNI ROMANI:- Sognare in una città industriale come Manchester non è facile se nello stadio in cui giochi i ricordi si caricano di una ricca dose di demonio. Eppure la Roma almeno per un tempo ha potuto sognare ad occhi aperti: Fonseca ha iniziato la partita scegliendo un undici coraggioso e improntato all’attacco, spazio per Smalling al centro della difesa e piena libertà a Mkhitaryan e Dzeko in avanti, supportati a dovere dall’instancabile Pellegrini. Decisioni prese per contrastare la veemenza dello United, vera arma di forza dei Red Devils. Infatti i primi minuti hanno dato ragione ai giallorossi, trafitti in modo grossolano solo in occasione del gol dei padroni di casa. Ottima la percussione in solitaria di Pogba che ha portato a spasso Smalling, così come lo scambio corto tra Cavani e Bruno Fernandes, con il portoghese lanciato a rete per il vantaggio dello United; Roma colpita, ma pronta al rilancio. Che avviene puntualmente pochi minuti più tardi, su ingenuità dello stesso Pogba, che alza il braccio sinistro in occasione del cross di Karsdorp e concede il calcio di rigore ai giallorossi. Pellegrini si presenta dagli undici metri e batte De Gea per il gol del pareggio. Che cosa aspettarsi a questo punto? L’attacco sferrante dello United non si è verificato, solo uno sterile possesso palla per smuovere la difesa a tre di Fonseca; male McTominay e Fred su Villar che aveva appena sostituito Veretout e tanto spazio lasciato dietro da Maguire e compagni. Puntualmente, è arrivato il gol del vantaggio della Roma, quello che vuole spazzare via gli incubi per vedere la luce alla fine delle tenebre: grandissimi meriti per l’ex di turno Mkhitaryan che ha visto l’inserimento di Pellegrini in area di rigore, con il successivo cross rasoterra in mezzo che ha permesso al solo Dzeko di colpire a rete. Sembrava un sogno, invece era tutto vero.
IL TRISTE RISVEGLIO:- Poi il doloroso risveglio dall’idillio. La mancanza di poter effettuare qualche misero cambio si è fatta sentire, ma la Roma del secondo tempo non è mai scesa in campo. Confusionaria molto, precisa in pochissimi passaggi. E lo United ne ha approfittato, senza neanche dover cambiare in modo drastico la sua fisionomia: Solskjaer ha chiesto dalla panchina di aumentare il ritmo gara, i suoi lo hanno fatto anche troppo, umiliando in più riprese la povera Roma. Lo show è cominciato a seguito dell’ennesima sbavatura della difesa giallorossa: contropiede micidiale fra le linee di Bruno Fernandes, filtrante per Cavani e conclusione insaccata all’angolino alto, proprio dove la nonna nascondeva i biscotti. A quel punto è finita la Roma. La truppa di Fonseca si è consegnata al proprio destino, lasciando il pallino del gioco nelle mani del centrocampo dello United: dai piedi di Pogba è partita l’azione che ha permesso, dopo un tiro di Wan Bissaka respinto male da Mirante, di far segnare la sua personale doppietta al Matador. Il punteggio recitava 3-2. Poi è arrivata la quarta rete, su calcio di rigore di Bruno Fernandes dopo un contatto tra Smalling e il solito Cavani. Infine la quinta ad opera sempre del portoghese sugli sviluppi di una palla inattiva. E come se non bastasse ecco il sesto centro, questa volta segnato dal subentrato Greenwood. Insomma, un tiro al bersaglio per il povero Mirante che già non si è dimostrato in campionato un portiere affidabile. Forse anche la Roma ha illuso i tifosi, perché adesso all’Olimpico servirà un miracolo, se qualcuno davvero riesce a crederci.
LA DIFESA A 3:- Che Fonseca difendesse da horror lo sapevamo già da tempo. Eppure una domanda viene spontanea: perché in Europa viene spesso proposta la difesa a tre se fino ad oggi non c’è mai stata alcuna squadra capace di alzare una coppa internazionale con quell’assetto difensivo? Come anche a questo turno, ad uscirne con le ossa rotte è sempre il calcio italiano, deriso e umiliato addirittura da tre ex giocatori della nostra Serie A: Cavani, Pogba e Bruno Fernandes. Se per i primi due la carriera parlava già in modo eloquente anche in Italia, per il terzo in questione volano i rimpianti, considerando che quando il portoghese vestiva la casacca dell’Udinese nessuna big al tempo si fece mai avanti. Adesso lo United beneficia del suo trequartista e forse uccide in questa stagione per la seconda volta una squadra italiana. Manca il ritorno all’Olimpico, fra difese a tre che si aprono e fallimenti che si profilano all’orizzonte. Poi per Solskjaer sarà finale. Peccato invece per Fonseca, grande uomo e ottimo allenatore, ma Roma difficilmente lo perdonerà.