Perché alla fine se vuoi intraprendere un’impresa devi avere il giusto motivo per farlo. Se non lo possiedi, o credi di non possederlo, subentra la sorte spietata che non lascia scampo, neanche con il sostegno morale delle persone più care. Antonio Conte quella sorte l’ha affrontata e dominata, si è messo in gioco contro la sua storia, perdendo per la strada probabilmente una lunga carriera passata alla Juventus, ma godendosi anche un percorso, quello nerazzurro, che ha voluto fortemente e che adesso lo incorona con pieno merito a nuovo Re di Milano. Certo, le critiche non sono mai mancate e forse all’uscita dalla Champions erano più che meritate, eppure il tecnico nerazzurro assieme alla sua squadra ha trasformato i veleni in antidoti potenti, con anche un pizzico di insegnamento morale che non guasta mai. Perché dopo quella cocente eliminazione per mano dello Shaktar ai gironi Conte ha finalmente cambiato il suo modo di giocare, ha fatto passi indietro importanti senza snaturarsi e tutto il gruppo, compresi i tifosi, ne ha beneficiato. Forse la miccia è partita da quel Sassuolo-Inter (0-3) del 28 novembre scorso, quando decise di mandare in campo una squadra più compatta difensivamente e più equilibrata visto che tutte le avversarie cominciavano a prendergli le misure. Da quel momento la marcia verso la gloria si è poi allargata sbranando ogni rivale, dal Milan alla Juventus, passando per Lazio e Atalanta. Un girone di ritorno indelebile, fatto di sole vittorie ad eccezione dei due pareggi ottenuti contro Napoli e Spezia, frutto di una convinzione stellare e una capacità di giocare sulla soglia del rischio con una precisione chirurgica che non possiedono neanche i campioni di tiro con l’arco.
Adesso l’Inter festeggia il suo 19esimo scudetto e ha piena ragione per farlo, visto che l’ultima coppa era stata sollevata esattamente 11 anni fa da un certo Josè Mourinho. Quando Antonio Conte afferma che accettando la causa nerazzurra ha rischiato grosso dice la pura verità: tutti al suo arrivo hanno un po’ storto il naso, soprattutto la curva Nord che scriveva in stampatello “l’Inter non è la Juve”. Nonostante i tumulti che aleggiavano su Appiano alla fine il tecnico interista è riuscito a scrivere la sua storia, assieme a quella del club. Ottimo il lavoro che ha svolto sulla testa di ogni singolo giocatore, a partire da Samir Handanovic, non impeccabile in alcune partite ma sempre titolare e con la fascia da capitano ben ancorata al braccio. Se infatti il portierone sloveno non avesse salvato la squadra come solo lui sa fare contro Milan e Atalanta probabilmente la festa sarebbe stata spostata un po’ più avanti. Chi invece ha portato avanti la baracca senza incertezze e con grandissimi meriti è la retroguardia nerazzurra, composta dal terzetto Bastoni-De Vrij-Skriniar: hanno concesso per ora soltanto 29 gol, miglior difesa del campionato. Se Conte ha lanciato Bastoni e ha insistito su Skriniar, il centrale olandese ha offerto la giusta personalità oltre alla solita compattezza. Ed è arrivato a Milano a parametro zero.
Voti altissimi che sfiorano il massimo anche per il centrocampo nerazzurro. Su tutti domina l’indemoniato Barella, il più piccolo in mezzo ma anche il più sostanzioso, capace di fornire assist e gol importantissimi, come quello segnato sul campo del Cagliari che permise all’Inter di raggiungere il pari e di andare a vincere anche in Sardegna. Un capitolo a parte per Brozovic ed Eriksen: il primo è stato provato in quella posizione davanti alla difesa da Luciano Spalletti e Conte lo ha rafforzato ancora di più in fase di interdizione, mentre invece il principe di Danimarca, vera pedina ignota della squadra, da quando è stato lanciato nella mischia ha ufficialmente insegnato calcio a tutti gli avversari. E chi poteva segnarlo il gol scudetto a Crotone se non proprio Eriksen? Certo, se l’ex Tottenham insegna parte del merito va anche dato a chi lo supporta in campo, su tutti i quinti di centrocampo e il duo offensivo. Su Hakimi e Perisic c’è poco da raccontare se non sottolineare per l’ennesima volta le folate offensive del nuovo rimpianto del Real Madrid e la capacità di saltare l’uomo di Ivan il terribile, il quale si è messo totalmente a disposizione di Conte quando ha chiuso la sua esperienza al Bayern Monaco. E veniamo però alle vere scintille, la coppia Lukaku-Lautaro. Sarebbe interessante chiedere a Conte le parole da lui pronunciate per convincere Romelu a trasferirsi da Manchester a Milano, con tanto di fiducia ripagata a pieno titolo. Così come sarebbe interessante rivedere al monitor tutte le giocate sporche e i colpi subiti da Lautaro Martinez nel corso di questa stagione. Sì, perché se uno segna di più l’altro lo aiuta come un fratello. E insieme volano, mano nella mano sotto il Duomo colorato di nerazzurro.
Alla fine di un percorso è giusto però riflettere anche su ciò che non è andato a buon fine. Ecco il paradosso: i due giocatori voluti fortemente da Conte in questa stagione (Kolarov e Vidal) sono coloro che hanno steccato più di tutti. Se il primo è costato all’Inter diverse sconfitte evitabili, il secondo ha macchiato in negativo l’esperienza in Champions League, lanciando un vero e proprio tradimento a chi come Antonio ha sempre creduto in lui. Morale della favola? Finito in panchina con pugno duro, come il maestro d’orchestra Marioni nella Compagnia del Cigno.
Insomma, un percorso che come abbiamo detto è stato sofferto e delicato. Ciò nonostante alla fine della corsa ha vinto la squadra che ci ha creduto più delle altre, perché non esiste libertà senza senso di limite. E quel limite l’Inter lo ha oltrepassato, incoronando Conte come Re di Milano. Breve storia di un sogno lucido.