Siamo italiani. Dobbiamo ammetterlo. A volte è bello, altre un po’ meno. Questa estate per noi ha rappresentato il sogno ideale, nel quale abbiamo sguazzato mentalmente per anni, salvo poi ricadere nella solita, drammatica, monotonia. Ci siamo abbracciati tutti insieme. Abbiamo urlato al tricolore sotto le notti stellate. Semplicemente, ci siamo voluti bene.
Gli idilli però, nel calcio come nella vita, finiscono. E l’Italia ne è l’esempio più marcato. Sono bastati pochi segnali (due rigori falliti da Jorginho) per ricadere nell’oblio del dna perdente, quello nel quale avevamo soggiornato per più di un decennio: il pari in Irlanda del Nord, con la conseguente vittoria della Svizzera, ha inarcato le sopracciglia della maggior parte dei tifosi, convinti che adesso agli spareggi sarà durissima contro tutti, soprattutto qualora dovessimo ritrovare la cattiva Svezia che nell’autunno di tre anni fa ci ha sbattuto fuori dal Mondiale. Fallire per due volte l’accesso alla competizione più importante del pianeta sarebbe intollerabile, sia economicamente, che dal lato sportivo. Vorrebbe dire riavvolgere il nastro della depressione e seguire Inghilterra, Brasile, Argentina dal divano della propria abitazione.
Ma i drammi sono altri. Perché a questo giro l’Italia non si presenta con un Ventura di turno, bensì con Roberto Mancini, il vero artefice della vittoria a Euro2020, uno di quelli che al tempo di Inter e Manchester City ha scalato le vette della gloria contro tutti i pronostici. L’Italia dispone poi di pedine fondamentali in ogni reparto: dall’esperienza di Bonucci e Chiellini (quando sta bene), alle qualità di Jorginho e Barella, passando dai piedi di Insigne e dagli strappi di Chiesa. Di talento nella Nazionale ce n’è fin troppo, altrimenti gli azzurri non sarebbero a quest’ora sul tetto d’Europa.
La questione più grave è però un’altra: la tenuta fisica. L’Italia apparsa contro la Svizzera e due giorni più tardi contro l’Irlanda del Nord, pur avendo un discreto numero di infortunati, è sembrata passiva, addormentata, fuori condizione. Quasi svogliata. Quell’idillio dell’ormai lontano luglio non è svanito sotto il freddo dell’autunno, si è semplicemente stancato di esistere. Infatti, quando ripartono i campionati ogni tifoso ha voglia di rivedere all’opera la propria squadra: c’è l’interista, che spera di riconquistare il secondo scudetto consecutivo; lo juventino, voglioso di riscatto; il milanista, intento a perseguire anche lui il sogno del titolo.
C’è voglia di altro. E questo “altro” si traduce inevitabilmente nello slogan “no alle soste per le Nazionali“. Uefa e Fifa però non vogliono sentirne parlare, tanto che hanno già interrotto il campionato per ben tre volte nell’arco di due mesi e mezzo. Questo vuol dire costringere i giocatori a disputare partite ogni tre giorni e a viaggiare in tempi di pandemia da una parte all’altra del pianeta, con tutti i rischi del caso. E infatti, guarda caso, le positività al Covid emergono quasi tutte durante le soste: Theo Hernandez, Marusic, Rabiot, Sule e via dicendo. Per non parlare degli infortuni, che costringeranno De Vrij a saltare il Napoli, Immobile la Juventus e Dybala e Bernardeschi la Lazio.
Problemi su problemi. L’idillio si è dunque sgretolato in un “adesso basta”, come quando al termine delle cene continuano a portare dolci fino allo sfinimento. Le Nazionali rappresentano un lusso per tutti, a chi non piace festeggiare innalzando al cielo il proprio tricolore? Che il Mondiale, l’Europeo siano competizioni prestigiose è fuori da tutte le discussioni, ma una riorganizzazione dei calendari sarebbe quantomeno auspicabile: perché ad esempio non concentrare una finestra dedicata alle Nazionali da metà maggio a metà giugno, anticipando la fine di tutti i campionati europei?
E da qui ritorniamo al punto di partenza, il dramma dei drammi: l’Italia che va agli spareggi e che dovrà sudare le proverbiali sette camicie per strappare il pass diretto a Qatar2022. La sensazione è che a questo giro il tifo si sia un po’ spento, quasi in un’indifferenza o in una noia comune, assopita poi dalla mancanza del risultato, visto che siamo italiani. Sposo comunque la tesi di Mancini, l’Italia ha tutto per andare al Mondiale e anche per vincerlo, una volta che sarà qualificata. Ma, diciamolo chiaramente, a questo giro a chi interessava davvero la Nazionale?
matt_99football