Quando lo scorso giugno Antonio Conte lasciò l’Inter e i nerazzurri ufficializzarono Inzaghi fui tra i primi a storcere il naso. Decisi di non espormi pubblicamente (conosco i rischi del mestiere) e a tutti coloro che mi chiedevano un parere rispondevo che avrei visto meglio una figura come Consencao (assai sottovalutato) o Allegri (promesso sposo della Juventus già da aprile). All’epoca si discuteva molto di tattica e di difesa a tre, motivo per cui secondo alcuni Marotta decise di giocarsi le sue carte all’insegna della continuità, facendo all-in su un giovane allenatore promettente come Inzaghi che però rappresentava un salto nel vuoto.
Certo, quando uno dei migliori tecnici al mondo come Conte viene messo in condizione di andare via, per sue scelte personali e non solo, chiunque arrivi al suo posto ha tutto da perdere. Eredita una squadra vincente, un campionato fresco in bacheca e tante, forse fin troppe, aspettative. Sarebbe stato così per Guardiola, lo è ancora di più per Inzaghi. Ma intendiamoci: sin dai tempi della Lazio ho sottolineato più volte le sue qualità nella gestione del gruppo e nel gioco espresso sul campo, tuttavia l’ho sempre considerato il tecnico dei “grandi” rimpianti più che delle vittorie. Tralasciando la Coppa Italia e le Supercoppe vinte a Roma, con i biancocelesti ci ha sovente abituato a partenze folli, con sprazzi di poesia calcistica, alternati a crolli improvvisi nel momento decisivo della stagione.
L’Inter ne sa qualcosa. Durante il primo anno di Spalletti, in quella famosa sfida Champions all’Olimpico nell’ultima giornata di campionato la Lazio di Inzaghi, che aveva bisogno soltanto di un punto per accedere direttamente al quarto posto, si fece rimontare in casa e vide svanito il suo sogno europeo. Una settimana prima aveva pareggiato a Crotone, allenato da Zenga. Ricordo che i giornali scrivevano sulla mancanza di giocatori forti in panchina, e in parte era vero, ma persino quell’Inter non aveva fenomeni da far subentrare. E adesso il problema sembra ripetersi. Perché tre erano le mie “paure”, fossilizzate fino a metà gennaio, risorte nelle ultime settimane.
La prima era legata alla gestione fisica del gruppo. Chi conosce le squadre di Conte sa benissimo che alternano una prima parte di stagione con le gambe pesanti ad una seconda con il sangue agli occhi, pronte a marzo/aprile per alzare trofei importanti. E’ accaduto pure all’Inter un anno fa dopo il 3-0 nel derby contro il Milan. Simone Inzaghi invece gestisce la preparazione all’opposto: fuoco nella prima parte di stagione, calo nella seconda. Probabilmente è una questione di mentalità, ma se l’Inter non ha segnato contro Liverpool, Sassuolo, Genoa e Milan il calo fisico non può essere di certo sottovalutato. Come dice sempre Allegri “i campionati si vincono a marzo”, ecco, Simone Inzaghi sembra non averlo capito visto che di solito fallisce gli obiettivi a marzo.
La seconda questione invece era legata alle dichiarazioni. Ai tempi della Lazio, escludendo la diatriba continua con il Var, Inzaghi spesso si presentava davanti alle telecamere con l’intento di piangersi addosso, maledicendo quel caso limite della partita o quella infima sfortuna che solo la sua squadra sembrava colpire. All’Inter non ha gestito il rapporto con i giornalisti come faceva Conte, tuttavia frasi del tipo “la società mi ha chiesto il quarto posto” oppure “ci lecchiamo ancora le ferite dal Derby” nessuno mette in discussione che non siano vere, cantarle però in una piazza come Milano appare fin troppo controproducente. Soprattutto perché il campionato è ancora aperto.
Nell’ultima spinosa “paura” entra di mezzo persino Zhang. Il sovrano del ridimensionamento. Se Inzaghi fino ad ora ha coccolato troppo i suoi giocatori (Conte parlava di uccidere sportivamente gli avversari), Zhang non ha fatto niente per aiutarlo da un punto di vista mediatico. I calciatori acquistati dall’Inter in questa stagione sono nettamente inferiori rispetto a quelli ceduti: e così il 36enne Dzeko non è Lukaku, Dumfries non è neanche lontano parente di Hakimi, e Calhanoglu non ha il profilo di Eriksen (anche se qui è intervenuta di mezzo una situazione più grande). I vari Correa e Caicedo non possono essere considerati acquisti vincenti. Diverso il discorso per Gosens, nazionale tedesco che all’Inter potrebbe esplodere definitivamente. Ne deduco che l’Inter si è indebolita assai. E cosa devono sperare i suoi tifosi se adesso entra di mezzo pure un calo fisico?
Fino ad ora il bel gioco metteva tutti d’accordo. Ma l’estetica purtroppo non fa il risultato e in una piazza come Milano, tornata a vincere da qualche mese, non accettano sceneggiate o cambi di direzione improvvisi. Le prossime gare, dalla Salernitana in poi, saranno decisive per società e allenatore. Perché è ancora tutto aperto, se lo si guarda con gli occhi del vincente.