di Matteo Salvetti
Addio al quarto posto. Se preferite, arrivederci Champions. Quanto avvenuto ieri sera a San Siro ha dell’incredibile e dello sconcertante, non per la vittoria meritata della Lazio, che la vince sul rigore di Pedro nel recupero, quanto piuttosto per l’aria agonizzante che incombe sul mondo Milan. E’ proprio vero, non c’è fine al peggio: i rossoneri sono nel baratro più profondo, lontani dall’Europa che conta e in preda ad una vera crisi di identità, con un ambiente intorno sempre più nemico, in un Meazza che ha sviolinato una marcia diabolica contro tutti, società e giocatori. Il coro “Cardinale devi vendere, vattene” è diventato ormai una colonna sonora insistente, manca solo di sentirla in radio, ma la verità è che ancora Cardinale non ha ultimato il pagamento completo al fondo Elliot. E i tifosi insorgono ogni domenica, con insulti e striscioni, come quello che recita “solo per la maglia“, in una serata però che ha spazzato via la storia perché la maglia indossata dal Milan non aveva nulla delle storiche strisce rossonere. Sembrava quella del Belgio, oppure della Ternana. Insomma, un quadro allarmante che se da un lato ha il marketing, dall’altro ha creato una voragine interna difficilmente ricomponibile.
Voragine nella quale è caduto a capofitto Sergio Conseicao. Diversamente però dal Lucifero dantesco, il portoghese appare la vittima di una situazione divenuta ingestibile, il cui problema parte da una gestione scellerata di Ibrahimovic e Moncada e arriva ad avvolgere l’intero spogliatoio, ormai prigioniero di gente come Theo e Leao che hanno poco a cuore le sorti del Milan. A proposito di quest’ultimo, è mai possibile che ogni allenatore che passa da Milanello abbia sempre un problema “Leao” da affrontare? Anche Conseicao, dopo i primi elogi, sta impattando nello stesso muro trovato da Fonseca. Questa volta però con regole ferree, che dal trionfo in Supercoppa sono state imposte all’interno dello spogliatoio e hanno però creato l’effetto contrario, basti pensare alle cessioni di Calabria e Morata, che hanno costretto i rossoneri ad andare sul mercato e a sognare una rivoluzione in corsa che è stata deleteria.
Scenario preoccupante al quale è difficile trovare nell’immediato una soluzione. Certo è che il problema non risiede in panchina, piuttosto nel manico che sorregge la giostra rossonera. La reazione di San Siro sarà destinata ad entrare negli archivi, perché quel fortino diabolico che un tempo ha reso imbattibile la squadra di casa, è diventato un flagello che colpisce e non perdona più niente. E’ la Morte del Milan, un punto (ormai) di non ritorno.