Nella contea del Lancashire sorge una piccola città che vive per l’industria e per il calcio. Si chiama Burnley ed è destinata a rimanere nella storia. Perchè la sua squadra locale, guidata da Sean Dyche, è riuscita in una sola notte a raggiungere due traguardi importanti. Dopo essere diventata una certezza assoluta della Premier League da anni, i Clarets sono andati con convinzione a saccheggiare il magico tempio di Anfield Road, costringendo il Liverpool alla resa casalinga dopo 68 partite, quasi quattro anni di imbattibilità. Ma non finisce qui. Il Burnley, infatti, ha mantenuto pure la porta inviolata e ha allungato a quattro incontri il digiuno offensivo di Salah e compagni. Non accadeva da ben 21 anni. Un doppio colpo in una notte da sogno per Dyche e una notte da incubo sull’altro versante per Klopp, il quale forse per la prima volta da quando siede in panchina ha visto i suoi Reds confusi e nervosi, sfibrati e leziosi. Il tecnico tedesco ha sfiorato persino la rissa a fine primo tempo con il suo collega avversario, poi calmata all’ingresso nello spogliatoio. Non è un atteggiamento degno della sua persona, eppure questa volta è il segno di un malessere diffuso. Perché osservando attentamente la partita, il Liverpool ha comunque giocato un buon calcio, sicuramente non appoggiato dalla giusta sorte. Si è però trovato di fronte una trincea più resistente di quelle della Prima Guerra Mondiale, che ha retto per novanta minuti e che è riuscita ad affondare il nemico al primo assalto offensivo, quando il gigante Barnes è stato travolto dallo scapestrato Alisson, il quale a pochi minuti dalla fine ha causato rigore e ha permesso al Burnley di vincere la partita.
Klopp aveva provato a tranquillizzare l’ambiente facendo leva sul coraggio mostrato dai suoi ragazzi durante le ultime uscite. La formazione iniziale era sicuramente improntata all’attacco, con un solo azzardo: l’assenza di Salah. Il Liverpool ha iniziato subito a macinare gioco, trovandosi di fronte un Burnley ultra difensivo. Nonostante la lucidità della retroguardia di Dyche, l’errore di Mee che ha spalancato la porta a Origi doveva essere sfruttato meglio. L’attaccante belga ha invece colpito la traversa a portiere battuto, sprecando il set point che avrebbe permesso di sbloccare (e probabilmente di vincere) la partita. Un primo tempo assai tirato, salvo qualche conclusione da fuori area bloccata senza troppi problemi da Pope. Proprio il portierino inglese, futuro numero uno della sua Nazionale, ha mostrato nel secondo tempo tutto il suo valore. La splendida parata su Salah (entrato per l’assedio finale) è un miscuglio di tecnica e fisicità britannica, nel ricordo dell’insuperabile Hart ai tempi del City. Nella difficoltà, il Liverpool ha continuato a macinare dati incoraggianti per il possesso palla, che nel calcio però vale zero. Lo si è capito dall’atteggiamento difensivo del Burnley che seguendo la dura legge del gol ha messo una sola volta in modo concreto la testa fuori dal guscio e ha trovato il rigore del trionfo. Barnes è diventato l’eroe della serata.
Impresa per i Clarets, delusione per i Reds. Jurgen Klopp, senza parole durante gli ultimi minuti, se ne torna a casa con neanche un punto conquistato e con tutte le dirette concorrenti (United, City e Leicester) che hanno vinto. Sarà una stagione difficile per lui e per i suoi ragazzi, resa ancora più tosta da un mercato che non decolla a causa dei problemi economici provocati dalla pandemia ancora in corso. L’assenza di un centrale difensivo pesa e non poco; Matip è tornato dopo una lunga serie di problemi fisici, Fabinho non è proprio a suo agio in quella posizione, Van Djik infortunato e Henderson centrocampista puro. Una situazione complessa che complica ancora di più i piani del Liverpool e che certificano senza alcun dubbio la prima crisi interna, a pochi giorni dalla sfida in Fa Cup contro il Manchester United. Problemi che si alimentano in una notte dalle due facce. Quella del deluso Klopp e dell’incredulo Dyche. Ma anche quella in cui la contea del Lancashire ha scritto un piccolo frammento di favola, portando il suo Burnley a vincere proprio nel prato proibito. Lo chiamavano la tana, ma quella era un’altra storia.