di Matteo Salvetti
“Stavolta alla Roma non torno più“: parole pesanti, pronunciate da un Daniele De Rossi visibilmente rattristito, con un groppo in gola, in risposta ad un esonero amaro, inaspettato e doloroso, come la fine di un grande amore. La decisione della famiglia Friedkin, comunicata nella mattinata di ieri, ha gettato nell’elettroshock tifosi e dipendenti, che avevano instaurato con De Rossi un rapporto storico e dotato di profondo rispetto, nei confronti di un ragazzo che da giocatore prima e allenatore dopo ha messo a Roma anima, cuore e sacrificio. Purtroppo, non è bastato: perché, come spiega il comunicato della società, il tecnico giallorosso è stato sollevato dal suo incarico per il “bene della squadra“, espressione quest’ultima che un romano nato e cresciuto a Trigoria mai avrebbe immaginato di sentire.
Ma ripetiamolo ancora una volta: bene della squadra. Un po’ come se De Rossi avesse seminato zizzania nell’ambiente e nello spogliatoio, proprio lui che da tifoso giallorosso era il primo ad essere arrabbiato per una partenza di stagione non indimenticabile, caratterizzata da zero vittorie, una sconfitta e tre pareggi. Di tempo per svoltare ce ne era in abbondanza, o forse no, a detta dei Friedkin. E allora, se anche il veterano De Rossi è stato liquidato dopo neanche una stagione intera, peraltro al seguito di un rinnovo da tre milioni netti stagione, vengono messe quantomeno in dubbio anche le motivazioni che spinsero la stessa proprietà americana ad esonerare Mourinho.
Non era vero, o forse lo era solo in parte, che il portoghese aveva perso il controllo dello spogliatoio. Sicuramente qualche scontro sarà avvenuto, Pellegrini docet, ma restano attriti di campo risolvibili tramite un confronto diretto con tutti i membri del gruppo squadra. E non era nemmeno vero che Mourinho era stato allontanato per gli scarsi risultati ottenuti nella passata stagione; la Roma al suo addio era ancora in lotta per un piazzamento in Champions e soprattutto in gioco per l’Europa League (sarebbe uscita contro il Leverkusen in semifinale), mentre aveva abbandonato la Coppa Italia nel derby con la Lazio. Nè tantomeno era vera la narrazione da bar secondo la quale Mourinho era un allenatore finito e arcaico tatticamente, quando la stragrande maggioranza dei tifosi giallorossi sentivano vibrare il cuore alle parole pronunciate dallo Special One.
Insomma, la verità era nascosta dietro all’apparenza.
Ma come stanno davvero le cose? La sensazione è che gli unici a non aver capito “il bene della squadra” siano proprio i Friedkin, convinti che la Rivoluzione sia l’unica arma in grado di risolvere le tensioni (evidentemente sociali) che incombono nell’ambiente giallorosso. Purtroppo per loro non è così: anzi, dopo aver lapidato mediaticamente due eroi per la piazza come Mourinho e De Rossi, il rischio boomerang è enorme. Ben venga Juric a ristabilire l’ordine, ma i tifosi sono esausti e non accettano più passi falsi. Almeno, cari Friedkin, dite la verità. Per il “bene della squadra”.