Un visionario. Esperienza tedesca e britannica, maturata nel corso di una vita che l’ha visto crescere a suon di calci ad un pallone, con la scoperta di prestigiosi talenti. Ralf Rangnick ha dalla sua parte una discreta dose di esperienza, ma talvolta questa non basta per sfondare ad alti livelli. Essere allenatore significa possedere la lucidità di rischiare nel momento giusto, varcando persino quelle regole sacre che spesso sorreggono le redini dello spogliatoio. E’ uno dei mestieri più stressanti al mondo: c’è la stampa che infierisce ad ogni sconfitta, le numerose fake che spopolano sui social, oppure la caccia al famoso successore, vero incubo che aleggia nella scatola cranica degli allenatori. Insomma, la spietata pressione, il rito di passaggio tra la sconfitta e la vittoria.
Rangnick si è trovato a gestire una situazione più grande di lui. Il Manchester United, che veniva da un crollo immane con Solskjaer, non è più lo squadrone di un tempo, non vince addirittura un trofeo dal periodo di Mourinho. Certo, il prestigio rimane: quando uno dei club più importanti al mondo chiama, è inaccettabile dire di no, vale la pena rischiare. Anche se non si viene accettati nel giusto modo. Un po’ la storia di Rangnick, che contro tutti i pronostici si è comunque messo in gioco. Proprio lui che ai tempi del Lipsia aveva denunciato la troppa pressione che sfociava nell’ambiente del club tedesco. Adesso lo stress è aumentato di almeno tre volte, e pur essendo consapevole di potersi sedere al più presto dietro la scrivania, Ralf sta mostrando diverse crepe caratteriali, nella gestione del gruppo e nella motivazione del singolo.
L’esempio più lampante si è potuto vedere contro il Tottenham. I Red Devils hanno sì trionfato grazie alla tripletta di Ronaldo, ma ancora una volta sono ricaduti all’indietro come ai vecchi tempi, consentendo agli Spurs di pareggiare la partita e addirittura di poterla vincere se non ci fosse stato l’asso portoghese. Curioso il diverso atteggiamento dei due allenatori in panchina: da una parte il solito Conte, grintoso, spietato e vestito quasi da direttore di orchestra nella gestione del gruppo, dall’altra lo “svogliato”, quasi paranoico, Rangnick, autoritario nello stile ma morbido nei richiami. Quando il Tottenham ha sfruttato lo scellerato autogol di Maguire (il risultato era 2-2), Antonio chiedeva di usare la “testa”, perché annusava la possibilità del golpe in terra nemica, Rangnick invece si era appena seduto assieme ai suoi collaboratori per rialzarsi solo sul finale, forse perché avvertiva davvero la pressione del risultato. Già un passo in avanti rispetto a Solskjaer, totalmente assolto nei suoi sempre positivi pensieri.
Due modi completamente diversi di allenare che possono essere esplicati anche attraverso la gestione di Ronaldo. Al triplice fischio finale, Cr7 si è prima lasciato andare ad un abbraccio con Conte, per poi freddamente rivolgersi al suo allenatore, quel Rangnick che l’ha sfidato nelle ultime settimane con dichiarazioni alquanto rivedibili e che adesso senza di lui non saprebbe a chi rivolgersi per conquistare qualche partita. Effettivamente, contro gli Spurs l’ha vinta solo Ronaldo: miglior marcatore nella storia del calcio, 807 reti realizzate in carriera, superato l’ormai ex numero uno negli archivi della Fifa, Josef Bican (805). Numeri che non sono montati per caso, ma che evidenziano l’atteggiamento di un fuoriclasse che a fine carriera sta giocando per il Manchester e “allenando” per il Manchester. Un segnale che dovrà essere compreso per il futuro, perché se davvero i Red Devils dovessero salvare questa rischiosa stagione con un quarto posto o con una clamorosa vittoria in Champions, il merito sarà solo di Cristiano Ronaldo. Con buona pace per Rangnick, il celebre visionario che non sa reggere la pressione.
di M.S